La parola #compassione in azienda è associata alla parola “loser”, perdente.

Lo psicologo Ugo Morelli, nel suo ultimo libro, invece definisce “psicotiche” alcune parole normalmente associate ai “vincenti”, come #successo ed #eccellenza, e sostiene che sostituirle con #umiltà e #incertezza ci aiuterebbe ad abitare meglio la complessità del nostro tempo.
Nella recensione del libro sul Il Sole 24 Ore del 3/01, leggo: “Prepararsi a reggere le crisi anche dal punto di vista psicologico, emotivo, culturale, infatti, è sicuramente uno snodo cruciale nella sfida più generale che ci attende che è quella di cambiare rotta.
“Questo è il momento opportuno per capire (…)che la socialità non è semplicemente il fatto di essere vicini e numerosi” e, aggiungo io, sempre #connessi. “Ma è la capacità di rispondere al grido di dolore dell’altro, di non essere indifferente all’appello dell’altro. Di provare amore, compassione. Di sollevare gli occhi verso il volto dell’altro, che oggi ci appare sullo schermo delle chat e dei #webinar.“

Sono convinta che in un futuro non troppo lontano, quando dirò che nei miei percorsi di #coaching uso anche tecniche di #compassione per approcciare il #business, non sarò più guardata come una Loser. 

Che dite, sono una sognatrice?

 #neuroactivecoach

Lo sapevate che persone maggiormente #resilienti hanno una maggior #fiducia nelle proprie capacità e di regolare le emozioni e adattarsi ai #cambiamenti della vita?

Grazie a queste attitudini e potenzialità individuali, in queste persone si rileva una riduzione del 65% dei disturbi ansiosi e del 69% dei disturbi depressivi. 

Lo spiega lo psicoanalista Massimo Ammaniti sul Corriere: “Sicuramente la resilienza è legata al temperamento personale, ma è una qualità che si può sviluppare nel corso della vita, ad esempio evitando di irrigidirsi nelle proprie convinzioni ed accettando anche il punto di vista degli altri senza sentirsene minacciati, in altri termini non mettendo in primo piano continuamente il proprio sé.”

Come si fa? E’ un #allenamento cerebrale.
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Più di 20 milioni di italiani allena il proprio corpo con attività sportive, ma il cervello? 

Ci avete mai pensato?

Tiziano Ferro in una diretta su Instagram mostra un nuovo tatuaggio: sul suo braccio sinistro ora si legge la parola “Compassione”. 
A proposito di questa scelta, ha spiegato: “È una parola che ho sempre amato ma che ho sempre dimenticato di usare. Una parola che ho riscoperto e che mi ha protetto molto in questo periodo, dalla rabbia e dal giudizio verso gli altri. Sono convinto che praticare la compassione sia una delle cose più belle”.

In azienda, la parola “compassione” è impronunciabile quanto la frase: “ho bucato il budget”. 

Storicamente considerata un sintomo di debolezza, la compassione invece è l’unica risorsa, tipicamente umana, che stimola i circuiti cerebrali e i sistemi motivazionali di ricompensa che ci fanno fare qualcosa per gli altri: la compassione è una leva motivazionale, un mezzo per autoregolarsi. 

Le più recenti ricerche nell’ambito delle neuroscienze applicate in psicoterapia dimostrano che attraverso la compassione si può ritornare a uno stato di integrazione, quindi di equilibrio, benessere e proattività. 

Chi ha il coraggio di usarla e nominarla in azienda? 
Chi sa come usare la compassione? 
Che beneficio può dare a un leader?