Nell’ultima settimana, sono inciampata in una pubblicità di un integratore, venduto come “il coach per i tuoi capelli”, e ho trovato su Facebook un post di un educatore cinofilo, che si definiva un “pet coach”. Se questi sono alcuni degli usi della parola coach, quando uno dice di esserlo, cosa pensa la gente, in una Milano in cui cognome e job title fanno il 70% della credibilità?
Il coaching è una relazione di supporto tra coach e coachee, in cui il primo, attraverso un processo iterativo basato su principi di maieutica, aiuta il secondo a migliorare la propria performance, sviluppare nuove competenze (principalmente comportamentali), raggiungere obiettivi. Il coach è un allenatore, un acceleratore di risultati. Ma quali elementi lo definiscono?
Facciamo un po’ di ordine, senza necessariamente andare alle origini della parola, ma adottando un approccio pragmatico nei confronti della figura del coach nel mondo del business.
Innanzitutto, l’etica professionale: il coach può essere in una posizione privilegiata per influenzare il coachee e si impegna ad aderire ad un codice etico in cui opera per il bene dello stesso, a cui lascia sempre la scelta di come operare.
Importanti sono anche le competenze e la metodologia, chesi apprendono attraverso un percorso specialistico e non si improvvisano. La formazione e l’esperienza abilitano soprattutto ad ascoltare e a fare domande potenti che sollecitano il coachee e lo portano ad esplorare, comprendere e agire per raggiungere i propri obiettivi. Diversamente dal consulente o dal mentore, un coach non dà risposte, non indirizza verso una soluzione, non fa azioni per il coachee.
E poi? Poi si deve comprendere il contesto del coachee e capire che tipo di sfide va ad affrontare. Non c’è bisogno di essere un medico per fare coaching a un cardiochirurgo, perché non si parlerà di come si fa un bypass, non si affronteranno questioni tecniche, bensì comportamentali.
Le competenze tecniche di un certo settore non sono necessarie affinché un coach sia tale, ma averle maturate con esperienza sul campo può potenziare l’efficacia del coach stesso.
In questo caso mi piace parlare di “coach al quadrato”, il suo ambito di azione ne risulta allargato, così come la sua efficacia.
I miei successi al quadrato? Quante volte mi è capitato sentirmi dire da un direttore commerciale che la strategia linkedin non stava funzionando… ed ecco delle domande al quadrato che gli ho posto: “quali sono i kpi che ti fanno dire che non sta funzionando? Come si integra l’attività linkedin con la strategia off line? Quali altre funzioni ad oggi stanno utilizzando questo strumento e con quale obiettivo?”. Sono queste le domande iniziali che mi hanno permesso di sollevare il punto centrale della questione, che poi abbiamo approfondito: ed ecco che in pochi minuti il coachee è riuscito a vedere il problema, definire un obiettivo e la relativa strategia da attuare. Quindi, conoscere il suo linguaggio, le variabili del suo mercato e gli strumenti che utilizza mi permette di fare domande di verifica pertinenti riconoscendo eventuali incoerenze con ciò che ha detto prima.