Leggi l’articolo di Chiara Bertoletti su Vanity Fair
Le storie di uomini e donne che, volontariamente, nel lavoro hanno «scalato la marcia» per dare più spazio agli affetti e alla vita privata. E nessuno di loro se n’è pentito
Tutti noi conosciamo almeno un esemplare dei cosiddetti «workaholic», gli «alcolisti del lavoro» che non sono semplicemente appassionati di ciò che fanno, ma ostentano un fiero e superbo stacanovismo. Quelli che si vantano di saltare i pasti e fare le ore piccole in virtù della produttività, che se gli racconti di aver detto «no» a una qualunque occasione di business e di profitto, magari perché ti avrebbe fatto trascurare i tuoi figli, ti guardano come se fossi un alieno o un povero fallito privo d’ambizione.
Ecco, qui parliamo proprio di loro: quelli che hanno detto «no».
Quando su LinkedIn abbiamo pubblicato un annuncio dicendo che cercavamo storie di chi sul lavoro aveva consapevolmente scelto di fare un passo indietro per dare più spazio agli affetti, al privato, a una vita sostenibile, ci hanno risposto più persone di quante pensassimo.
Tanti uomini e tante donne che avevano deciso consapevolmente e con tanta energia di rinunciare a un certo tipo di carriera e che volevano raccontarci la loro ritrovata libertà e la loro gioia di aver «scalato la marcia».
Qui abbiamo raccolto 6 delle loro storie, utili per ricordare a tutti noi che il vero significato del termine «successo» è sempre e solo felicità.
Michele Sacchi
È un avvocato di 42 anni che a 25 anni già lavorava in un grosso studio legale internazionale con sede a Milano, di quelli «dove da giovane sei già ben pagato, hai la segretaria e ti mandano in prima classe in giro per il mondo». Le prospettive di crescita professionale erano ottime ma, a un certo punto, dopo qualche anno, Michele ha iniziato a sentire nostalgia della sua terra, l’Emilia, e soprattutto della sua qualità di vita, con famiglia e amici vicino e con il tempo per fare sport (è appassionato di baseball). Ha deciso così di tornare nella sua regione ed aprire uno studio legale a Parma. «Certo, per qualche tempo ho subìto, anche psicologicamente, il “downshifting”: le pratiche lavorative che affrontavo da libero professionista erano passate dal seguire grandi gruppi internazionali a risolvere piccoli problemi di micro-imprese locali. Poi però ho conosciuto Isa, colei che sarebbe diventata mia moglie, e, dopo quell’incontro, la carriera ha smesso di sembrarmi così importante. Nel lungo termine l’attività si è ingrandita, ho trovato un bellissimo equilibrio e la mia scelta è stata ripagata, perché la sera posso tornare finalmente a Casa, quella con la “c” maiuscola».
Si è sentita dare della pazza quando ha lasciato un ruolo di responsabilità in una multinazionale dove tutti i giorni era a contatto con rossetti, profumi e grandi marchi di moda e cosmetica. Insomma: il sogno di molte donne. Eppure, quando sua nipote un giorno le ha detto «zia non ci sei mai», ha capito che qualcosa non andava. «Oggi vivo una nuova avventura tra start-up e consulenza, la mattina vado a correre e, dopo 10 anni che vivo a Milano, per la prima volta questo mese sono riuscita a essere presente al compleanno di mia mamma a Treviso. Ho trovato nuovi hobby, sorrido tutti i giorni ed è iniziato un periodo positivo, che mi consente quotidianamente di conoscere persone davvero stimolanti».
Federica de Vecchi
Antonella Damiano
Dopo aver lavorato 13 anni in alcune aziende nel ruolo principale di sales & marketing manager ha scelto di diventare un’assistente online che lavora al 100% da remoto. «Ho preso questa decisione in prossimità del mio quarantesimo compleanno e in meno di 6 mesi dall’inizio dell’attività avevo già capito che era la strada giusta. Sicuramente ho qualche benefit e qualche premio produzione in meno rispetto a prima, ma la mia vita è totalmente diversa. Le cose da fare sono sempre tante, ma cambia la prospettiva in cui lo si affronta: lavoro da ovunque e questo mi permette di spostarmi insieme a mio marito, mentre prima ognuno doveva viaggiare in un posto diverso. Inoltre, vivendo in Toscana, ma essendo laziale, posso andare ad aiutare i miei genitori, senza per questo sacrificare gli impegni lavorativi. Il lavoro e la vita privata non sono più in conflitto: si fondono, nel senso positivo del termine. Mi sento più serena, più libera, più soddisfatta».
Ha lavorato oltre 10 anni come giornalista, prima freelance e poi assunta da un’importante rivista di moda. «Nel 2012 mi sono sposata e da lì a poco, con il desiderio di creare una famiglia, ho lasciato il lavoro da giornalista per unirmi all’attività che mia madre stava portando avanti: la Dag Gioielli. Ho fatto sicuramente una scelta diversa e ho rallentato per conciliare al meglio impegni lavorativi e familiari, in pochi anni i figli sono diventati due e un lavoro autonomo mi permette di realizzarmi e di essere sempre presente a casa».
Valentina Garavaglia
Paolo Castellani
Forte di una laurea in Economia alla Bocconi e di un master alla Cattolica, lavorava a Roma presso il Corporate Development del Gruppo Atlantia, occupandosi di progetti di sviluppo estero. Oggi insegna in una scuola superiore nel suo piccolo paese natale, San Zeno di Montagna, sul Lago di Garda. Perché è passato da una cosa all’altra? «Nonostante il lavoro fosse interessante e le prospettive di carriera incoraggianti, provavo un senso di insoddisfazione per ciò che facevo, dovuto non tanto agli orari di lavoro che assorbivano interamente le energie giornaliere, quanto al fatto di sentirmi un minuscolo ingranaggio di una catena di cui non vedevo l’inizio né la fine. Non percepivo i benefici immediati del mio lavoro, né d’altra parte avevo lo spazio per costruire qualcosa di personale e alternativo ad esso. Rassegnai perciò, tra lo stupore di tanti, le mie dimissioni e decisi di tornare nella mia terra natale senza alcuna proposta di lavoro ma con la consapevolezza che la mia realizzazione personale non sarebbe mai dipesa dallo stipendio né dalla carriera, ma da qualcosa di più intimo, raccolto, interamente mio. Come docente la mia professione e la mia vita sono molto più soddisfacenti. Ho iniziato a godere di qualche pomeriggio libero, a coltivare l’orto, curare il giardino, circondandomi di gatti, galline e asine. Da due anni sono anche apicoltore». Certamente, Paolo ha rinunciato ad alcuni agi, soprattutto economici, della vita precedente, ma oggi le sue giornate, come lui stesso le definisce, sono «illuminate». Dalla vita di campagna, incontri, letture e passeggiate, ma soprattutto da una professione che finalmente ama e che lo fa sentire un privilegiato. «Lo posso dire ora, perché sono consapevole di ciò che ero prima, perché ho un metro di confronto affidabile».
Ambiziosa e determinata, ha sempre «vissuto in apnea, raggiungendo a testa bassa tutti gli obiettivi: la laurea, il master, una casa e una famiglia». Tutto perfetto, finché «ho sentito il pressante bisogno di rallentare, di respirare, di vivere veramente. Così, dopo vent’anni di incessante lavoro, ho rifiutato il contratto della vita, quello con la C maiuscola, che aspettavo da sempre e che avrebbe potuto essere un trampolino di lancio. Molti avrebbero fatto carte false per un’opportunità simile, io ho scelto di dare più spazio agli aspetti della mia vita che hanno assunto reale importanza: la mia famiglia e la mia bambina sopra ogni cosa. Molti si meravigliano del mio gesto, qualcuno prova anche un po’ di fastidio per il fatto che io abbia gentilmente declinato un’offerta di stabilizzazione, altri rimangono piacevolmente colpiti e mi incoraggiano. Non mi curo molto di ciò che pensano gli altri, perché credo di aver raggiunto l’obiettivo più alto: la consapevolezza di ciò che veramente conta. Ora sto ricominciando da capo, con l’appoggio incondizionato della mia famiglia. Lavoro autonomamente, sono un agente di sviluppo locale e sto cercando di creare una rete virtuosa di contatti sul mio territorio. La forza di volontà e lo spirito non mi mancano, perché vedere il sorriso sincero di mia figlia quando la vado a prendere all’uscita da scuola è impagabile».